Sono due anni che Reeds non torna
a Xinhion.
Nella sua testa il tempo si è
fatto labile e si è appiattito facendo diventare qualsiasi unità di misura
tremendamente inconsistente, tanto che quando si trova a percorrere il lungo corso
pedonale di Gǒu Shuìjiào, a Lòng City, non è sicuro se ci sia mancato per
diciotto anni o solo per poche ore.
Le piccole botteghe che affacciano sulla strada attirano con il profumo di olio
da quattro soldi, i colletti bianchi di servizio in centro che hanno affittato a
poco nelle palazzine basse e tipiche di una città così grande. Lui
ricorda la presenza di un banco di alimenti sintetici cotti a vapore affacciato
giusto sotto casa sua, ma quando ci arriva, la ruggine presente sulla
bancarella vuota glie ne da la certezza: non è stato lì ieri.
Barcolla all’indietro cercando
con lo sguardo la finestra della casa in cui ha vissuto i primi otto anni della
sua vita: le luci calde dentro la piccola costruzione-a-corte, alla cui base un
arco lascia intravedere un giardino interno, sono accese. Per un attimo, il
senso di nausea che Reeds avverte è così forte da fargli vibrare le palpebre e
farlo sudare: è per quello che si appoggia alla bancarella arrugginita e
respira, con il bracciale/collare di cuoio legato intorno al polso che sembra
stringere per spezzargli le ossa.
Le labbra gli sono diventate
livide sul contorno e quando si rimette dritto cerca nuovamente la finestra con
gli occhi. Qualcuno dall’altro capo della strada urla, qualche vecchio invece
lo guarda come se stesse cercando il momento giusto per chiedergli a quale famiglia
appartiene, visto che a Gǒu Shuìjiào i residenti si conoscono bene o male
tutti. Tutti, si scambiano pezzi di vita l’un con l’altro, a riparo nelle loro
case basse e corti con giardino.
Quando finalmente riesce a
rivoltare la testa sulla schiena vincendo i conati, le finestre si aprono:
la prima sagoma che intravede è asciutta e lunga, con il viso marcato da tratti
occidentali non dissimili ai suoi. Tira dentro le tende e guarda verso il basso
dopo pochi istanti, sentendosi minacciato dalla presenza dello sguardo
incredulo che lo sta guardando fisso.
Si scambiano un’occhiata lunga e
interrogativa, fino a quando Reeds non indietreggia, sparendo in uno dei vicoli
che si affacciano sul lungo corso pedonale. Gli occhi di suo fratello, Tai
Reeds, lo cercano nell’ombra come se avesse appena avuto una visione o visto un
fantasma.
_____
Reeds se ne sta sdraiato sulla
schiena.
Stringe un filtro tra le labbra nervose e le coperte umide del materasso su cui
dorme si stanno appesantendo dell'odore della bloom di pessima qualità che è riuscito
a raccattare a Dog Town, di rientro da un lungo viaggio.
Vorrebbe che il materasso si
aprisse e che una voragine di coperte e cuscini lo soffocasse, o soffocasse la
parte di lui che non riesce a
dimenticarsi di Tai Reeds, con gli occhi così identici ai suoi e la
fronte alta, le spalle larghe, l’affetto della famiglia che non conosce più a cullarlo nella sua
vecchia casa in corte. Invece, mentre lo stomaco sprofonda nel buio vuoto della
fame chimica e la bloom gli annebbia lo sguardo, sorride. Il volto gli viene
tagliato da parte a parte da una cicatrice di sofferente divertimento e prende
il c-pad in mano: digita un numero e guarda lo schermo a lungo.
Per quasi tutta la notte rimane con il volto semi-illuminato dalla luce azzurrognola del emanata dal cortex pad: si lascia soffocare dal sonno, per non fare niente. ancora una volta.